l Brasile non cresce più, ma i brasiliani sono felici

La crescita economica strabiliante vissuta dal Brasile nell’ultimo decennio sembra essersi esaurita. Dopo incrementi del Pil intorno al 4% dal 2002 in poi, negli ultimi due anni c’è stata una brusca frenata, tanto che nel 2012 il Paese è cresciuto solamente dello 0,9%, pochissimo per gli standard a cui era abituato. Eppure, i brasiliani non sembrano affatto preoccupati, anzi, sono sempre più felici.

Questa apparente contraddizione è l’oggetto di un interessante articolo dell’Economist, dal titolo “Brazil isn’t growing, so why are Brazilians so happy?”. Si parte dai dati, quelli dell’Ipea, istituto di ricerca brasiliano. Ebbene, tra i due terzi e i tre quarti delle famiglia brasiliane affermano che la propria condizione economica è migliorata negli ultimi anni e che si aspettano di stare ancora meglio nei prossimi. Gli ottimisti in Brasile superano di gran lunga i pessimisti, più che in qualsiasi altro paese economicamente forte.

Ma se la crescita non c’è più – si chiede l’Economist – da dove viene questo ottimismo? Il fatto è che, anche se il Paese nel suo complesso è in difficoltà, i redditi di molte famiglie stanno ancora salendo rapidamente. La disoccupazione è vicina al minimo storico e l’aumento dei salari supera ampiamente il tasso di inflazione. Al contempo, la graduale costruzione di una rete di welfare sta riscattando molti brasiliani dall’indigenza. Il risultato è un crollo della diseguaglianza, una middle class che cresce e una evidente sconnessione tra la crescita del Pil e quella delle felicità dei brasiliani.

Per spiegare meglio il tutto il settimanale britannico fa un esempio “scolastico”. Immaginiamo un Paese con 10 abitanti, in cui uno guadagna 1000 euro al mese, un altro 2000, e così via fino al decimo che ne guadagna 10.000. Complessivamente queste dieci persone guadagnano 55.000 euro al mese. Ora supponiamo che in un anno l’economia di questo paese immaginario cresca dell’1,8%, e che quindi produca una ricchezza extra di 1000 euro mensili. Se il più ricco catturasse tutta la ricchezza avrebbe un incremento di reddito del 10%. Ma per lui quell’aumento sarebbe quasi impercettibile dato che guadagna già molto. In più, l’incremento medio dei salari sarebbe solo dell’1%. Ma se tutto l’aumento di reddito andasse al più povero, allora il suo reddito raddoppierebbe, il che farebbe una grande differenza per lui, ma comporterebbe anche un incremento medio dei salari del 10%. Dunque, questa è la sostanza, più si accrescono i redditi bassi, più l’impatto sui salari medi è alto.

E in Brasile sta succedendo proprio questo. Nient’altro che redistribuzione del reddito, dopo decadi in cui il “bottino” è andato quasi tutto ai più ricchi. Un fatto che – spiega ancora l’Economist – è il risultato di una stabilizzazione economica di lungo periodo e dell’universalizzazione dell’educazione primaria negli anni ’90, insieme ad un incremento di spesa per il welfare e al reddito minimo.

Quindi, importa se il Brasile nel suo complesso cresce molto poco? Secondo l’Economist, sì, almeno in parte. Perché nonostante i recenti passi in avanti, il Brasile è un paese ancora dolorosamente ingiusto, in cui i poveri pagano gran parte del loro reddito in tasse, ma hanno poco in cambio dalla spesa pubblica. E poi, se i salari continueranno a crescere, quei brasiliani che lavorano nei settori sottoposti alla competizione globale, potrebbero ritrovarsi fuori mercato, dato che un lavoratore brasiliano attualmente ha livelli di produttività pari a un quarto del suo collega americano. E allora, 11mila dollari di pil procapite non saranno sufficienti – dice l’Economist – per andare avanti, indipendentemente da quanto giustamente saranno distribuiti.