Argentina in default, falliti i negoziati a oltranza

downloadL’ Argentina ha dichiarato default. Anzi per l’esattezza Buenos Aires ha negato l’evidenza: il suo ministro dell’economia Axel Kicillof ha sfoggiato una buona dose di “realismo magico” latinoamericano convocando una conferenza stampa ieri sera per sostenere che, dopo due giorni di incontri a oltranza, le trattative con una cordata di hedge fund ribelli erano fallite. Ma che il suo Paese non era in default. Perché aveva mostrato l’intenzione di pagare, trasferendo a New York i fondi necessari a coprire interessi in scadenza su bond ristrutturati.

Peccato che di buone intenzioni siano proverbialmente lastricate le vie dell’inferno. In questo caso, peccato che il giudice Thomas Griesa quei fondi, 539 milioni, li abbia ormai da tempo congelati, giudicandoli irregolari in assenza di pagamenti accettati anche dai creditori dissidenti. Come ha dovuto ammettere lo stesso Kicillof, «la Repubblica Argentina ha richiesto una sospensione della sentenza, il giudice ha detto che se gli hedge fund avessero accettato avrebbe decretato la sospensione, ma i fondi avvoltoio non hanno accettato».

Detto fatto: l’Argentina è, a tutti gli effetti, in default. Il secondo in 13 anni, un record negativo, che gli analisti sperano non abbia contraccolpi contenuti sui grandi mercati internazionali – visto che Buenos Aires e’ assente dal palcoscenico obbligazionario globale dal primo default, quello del 2001-2002, e che il debito argentino nell’indice di JP Morgan dei mercati emergenti rappresenta poco piu’ dell’1 per cento. Ma che minaccia ripercussioni piu’ severe per Buenos Aires, dove potrebbe aggravarsi la recessione e l’inflazione, gia’ ora al 40 per cento. Ne’, per cancellare il default, basta condannare moralmente gli hedge come ingordi “avvoltoi”, popolare o meno che l’accusa sia.

Del default se ne e’ subito accorta l’agenzia di valutazione del credito Standard & Poor’s. Prima ancora dell’annuncio di Kicillof, alla chiusura dei mercati di mercoledi’, vista l’impasse S&P ha concluso che il Paese e’ in “selective default”, un rating che corrisponde al mancato pagamento su alcuni dei titoli del suo debito sovrano in valuta straniera. E se ne e’ accorto, amaramente, il mediatore incaricato dal tribunale, Daniel Pollack, di cercare un’intesa tra le parti. “Il default non e’ solo una questione tecnica _ ha detto _ E’ un doloroso evento che danneggia persone reali: tutti i cittadini argentini, i creditori che avevano accettato i titoli ristrutturati e che ora non ricevono gli interessi e i creditori dissidenti che non possono far valere le loro vittorie giudiziarie”. Pollack ha detto che restera’ a disposizione per ulteriori negoziati, che stanto agli osservatore sono tuttora possibili per risolvere la lunga crisi.
La saga dell’Argentina e’ infatti diventata, per parafrasare il maestro stesso del realismo magico Gabriel Garcia Marquez, la cronaca di un default annunciato. Negli ultimi giorni i colloqui a oltranza a New York avevano alimentato speranze, soprattutto sui mercati argentini, che un compromesso fosse a portata di mano in extremis. Cosi’ non e’ stato. “Era una situazione di estorsione”, ha incalzato Kicillof. Agli hedge la delegazione di Buenos Aires avrebbe presentato ancora una volta gli stessi termini gia’ offerti in precedenza e accettati dal 90% degli investitori sul vecchio debito argentino.

Un passo indietro per chiarire: nel 2001-2002 Buenos Aires dichiaro’ default su quasi cento miliardi di dollari di debito estero, scatenando terremoti sull’economia domestica e sui mercati globali. Nel 2005 e 2010 orchestro’ una ristrutturazione del debito con perdite fino al 70% per gli invertitori. Il 7% di questi non accetto’ e tra loro anzitutto due hedge americani, NML Capital di Paul Singer e Aurelius, specializzati nel comprare a basso prezzo debito in crisi. Sono proprio loro che hanno deciso di sfidare nei tribunali americani l’Argentina, chiedendo il pagamento per intero del valore dei loro bond, pari a 1,3 miliardi oggi saliti a 1,5 miliardi con gli interessi. La magistratura americana, fino alla Corte Suprema, ha dato loro ragione, in sentenze controverse perche’ intervengono su porzioni in dollari del debito sovrano di un altro paese.

Buenos Aires, in anni di polemiche e battaglie, ha anche sostenuto di essere nell’impossibilita’ materiale e legale di raggiungere rapidamente un nuovo accordo con gli hedge. Questo a suo avviso farebbe scattare una clausola contenuta nelle intese gia’ raggiunte con i creditori chiamata RUFO, Rights Upon Future Offering, che fino al 2015 consentirebbe loro di pretendere i nuovi termini piu’ generosi. Una clausola, cioe’, che costerebbe 15 miliardi di dollari. Ma il giudice ha respinto le obiezioni. E il default potrebbe esporre adesso il paese a un’altra procedura, definita “acceleration clause”, nella quale i creditori possono richiedere il pagamento immediato e completo di quanto loro dovuto: un conto da almeno 29 miliardi che svuoterebbe le casse della Banca centrale di Buenos Aires.
Neppure soluzioni ideate in extremis, anzitutto una proposta perorata dall’associazione delle banche argentine, hanno avuto esito, ma potrebbero ancora essere resuscitate. Le banche di Buenos Aires hanno ipotizzato di farsi carico loro dei pagamenti agli hedge, per poi essere risarcite dal governo. E hanno offerto di finanziare un fondo di garanzia da 250 milioni di dollari a favore dei fondi ribelli come gesto di fiducia. Per il momento, pero’, l’Argentina salira’ nuovamente agli onori della cronaca sui mercati per un default dalle incerte e pericolose conseguenze.

Fonte: Il Sole 24 Ore