Punto sul Bonus di 80 euro dopo la legge di Stabilità 2015

Bonus_Irpef_80_euro_168x126Il Bonus Renzi di 80 euro al mese e le problematiche riguardo a equità, efficienza e costituzionalità; simulazioni di calcolo

Con la Legge di stabilità 2015 (art. 1, commi da 12 a 15) è stato modificato il comma 1-bis dell’art. 13 Tuir, rendendo così permanente il c.d. “bonus Renzi”, vale a dire un alleggerimento del carico fiscale sul lavoro dipendente inizialmente sperimentato con il decreto legge n. 66 del 2014(art. 1)

Si tratta di un credito Irpef (erogabile in caso di capienza Irpef individuale) di 960,00 euro annui (80,00 euro al mese) per coloro che hanno unreddito annuo fino a 24.000 euro; superata tale soglia il bonus decresce con una pendenza del 48% (ogni 100 euro/annui di aumento del reddito il credito diminuisce di 48 euro/annui) fino ad azzerarsi al raggiungimento del livello di 26.000 euro di reddito annuo.

La platea dei beneficiari comprende i lavoratori dipendenti di cui all’art. 49 Tuir (esclusi i pensionati)nonché gli assimilati di cui all’art. 50, comma 1, lett. a), b), c), c-bis), d) h-bis) e l).

Il predetto intervento non consiste dunque né in una nuova deduzione, né in una nuova detrazione, ma si tratta di un vero e proprio credito, concesso sull’Irpef dovuta da gran parte dei contribuenti non pensionati rientranti nell’area del lavoro dipendente ed assimilato allo stesso. A differenza di altre agevolazioni di carattere fiscale, in genere giustificate da specifiche e precise motivazioni e/o obiettivi, tale bonus si presenta come provvedimento di generalizzata riduzione del cuneo fiscale sul lavoro dipendente (per redditi medio-bassi).

La corresponsione del bonus non tiene pertanto conto di alcun’altra condizione personale se non quelle già citate. Conseguentemente tale misura è oggetto di varie critiche a motivo di alcuni effetti controversi.

Si pensi, ad esempio, a due nuclei familiari, uno monoreddito da 30.000 euro, ed uno bireddito da 40.000 euro (in cui ciascun coniuge produca 20.000 euro): al primo nucleo non spetta nulla, al secondo due quote intere di bonus. Oppure possiamo avere dei nuclei senza figli che – a parità di importo e tipologia di reddito – percepiscono lo stesso importo di credito dei nuclei con figli.

Da quanto detto emerge che tale bonus non solo non rispetta adeguatamente i criteri di equità verticale (cioè è selettivo nella categoria dei beneficiari, nonché in gran parte invariabile al variare del reddito personale , ma soprattutto non tiene in nessuna considerazione i criteri di equità orizzontale (vale a dire la differenziazione in relazione ai carichi personali e familiari).

Verifica del vantaggio assicurato dal bonus nei confronti di famiglie differenti sia per importo dei redditi totali sia per i carichi familiari

Intendiamo proporre con questo articolo una verifica del vantaggio assicurato dal bonus nei confronti di famiglie differenti sia per importo dei redditi totali sia per i carichi familiari.

Analizzeremo il reddito di un coniuge-contribuente relativamente a cinque tipologie di numerosità familiari (0, 1, 2, 3, 4 figli) e per ciascuna di esse ipotizzeremo quattro livelli di reddito del percipiente (23.000, 24.000, 25.000, 26.000 euro).

Avendo a che fare solo con il lavoro dipendente, prenderemo in considerazione anche l’erogazione degli Assegni per il Nucleo Familiare (ANF), al fine di pervenire al reddito netto disponibile; per il calcolo degli stessi ipotizzeremo per semplicità che in ogni nucleo marito e moglie percepiscano lo stesso reddito, e che l’assegno spetti per tutti i figli indicati; l’esposizione dei dati in tabella tuttavia sarà effettuata riguardo al singolo coniuge, rapportando allo stesso le varie voci esposte (reddito, Irpef, assegni familiari, etc.).

Per ulteriore semplificazione vengono omesse dal computo le addizionali Irpef.

I risultati sono esposti nelle Tabelle n. 1 e n. 2, allegate al presente articolo.

Si tratta degli stessi dati, ma presentati in due modi diversi: nella prima tabella abbiamo effettuato un ordinamento (crescente) in base ai carichi familiari, nella seconda in base al reddito.

Come si può vedere, la rapida decrescenza del bonus (al raggiungimento della soglia di reddito di 24.000 euro e fino al suo azzeramento al livello di 26.000 euro), cumulandosi con la decrescenza delle detrazioni fiscali e degli ANF, produce un innalzamento dell’aliquota marginale effettiva di dimensioni spropositate (arrivando a toccare un picco del 98,79%!), vanificando gli sforzi di maggior produzione di reddito del lavoratore.

Per esempio, se due coniugi con quattro figli ed un reddito di 24.000 euro/cadauno intendessero effettuare (nell’anno X) del lavoro straordinario ciascuno per 1.000 euro lordi (circa 80 ore), avrebbero un vantaggio netto complessivo di appena 24 euro (12 euro/cadauno)!

Nell’anno X+1 (a gennaio-febbraio) subirebbero infatti la trattenuta per i conguagli fiscali sul reddito Irpef finale dell’anno X, cui seguirebbe – a partire da luglio – una ridefinizione al ribasso degli ANF (anch’essi conteggiati sui redditi dell’anno X).

Nella zona di decrescenza del bonus (24.000 – 26.000 euro di reddito annuo) la tassazione marginale parte da una base del 75% (27% aliquota Irpef + 48% pendenza bonus). A tale base si aggiunge poi l’effetto dovuto alla decrescenza delle altre componenti (detrazioni per lavoro, per carichi familiari e ANF), con i risultati esposti.

Anche l’aliquota media effettiva (comprensiva degli effetti degli ANF) risente di tale andamento ed aumenta, in tali fasce di reddito, piuttosto velocemente: la forbice dell’aliquota media tra il primo livello di reddito (23.000 euro) e l’ultimo (26.000 euro) è pari al 5,60% nel caso dei nuclei privi di figli ed arriva al 9,47% per i nuclei con quattro figli.

Agli effetti negativi già noti e causati da tutte le componenti di tipo decrescente previamente esistenti, tale innovazione comporta un ulteriore aumento del 48% della tassazione marginale, con ricadute sostanziose anche sull’aliquota media.

Alcune considerazioni finali

Anzitutto appare evidente che tale bonus può provocare un forte disincentivo all’offerta marginale di lavoro per coloro che si trovano nella fascia 24.000 – 26.000 euro. Si tratta di un insieme considerevole di soggetti; basti pensare che può facilmente posizionarsi in tale fascia un funzionario pubblico oppure un’insegnante di scuola media inferiore. Per tali soggetti effettuare ore aggiuntive di lavoro straordinario diventa assai poco conveniente.

Inoltre l’insieme delle caratteristiche e degli effetti del bonus lo rendono uno strumento problematico.

L’individuazione della platea dei beneficiari escludendo i lavoratori autonomi ed i pensionati, l’assenza di criteri selettivi orientati verso l’equità orizzontale (ad es., l’indifferenza verso il numero dei figli a carico), la disparità verso i nuclei monoreddito con medesimo reddito familiare complessivo, l’impennata dell’aliquota marginale effettiva nella fascia di decrescenza del bonus, l’elevata crescita dell’aliquota media effettiva nella medesima fascia di reddito: sono questi i principali aspetti negativi del meccanismo di credito qui esaminato.

Anche volendo lasciare fuori dal discorso gli ANF (una componente parafiscale), resta il fatto che il bonus è istituito come credito Irpef e non come ulteriore detrazione per motivi esplicitati in modo dettagliato (es. aumento delle detrazioni per spese produzione reddito): tutto ciò potrebbe giustificare dei dubbi riguardo alla costituzionalità di tale meccanismo di credito, soprattutto – per gli effetti negativi sopra descritti – in relazione ai criteri della non discriminazione, della capacità contributiva e della progressività dell’imposizione fiscale.

Fonte : Fisco e Tasse